lunedì 23 febbraio 2015

Storia della Cucina napoletana

Storia della cucina napoletana




La cucina napoletana ha antichissime radici storiche che risalgono al periodo greco-romano e si è arricchita nei secoli con l'influsso delle differenti culture che si sono susseguite durante le varie dominazioni della città e del territorio circostante. Importantissimo è stato l'apporto della fantasia e creatività dei napoletani nella varietà di piatti e ricette oggi presenti nella cultura culinaria partenopea.

In quanto capitale del regno, la cucina di Napoli ha acquisito anche gran parte delle tradizioni culinarie dell'intera Campania, raggiungendo un giusto equilibrio tra piatti di terra (pasta, verdure, latticini) e piatti di mare (pesce, crostacei, molluschi).

A seguito delle varie dominazioni, principalmente quella francese e quella spagnola, si è delineata la separazione tra una cucina aristocratica ed una popolare.

La prima, caratterizzata da piatti elaborati e di ispirazione internazionale, sostanziosi e preparati con ingredienti ricchi, come i timballi o il sartù di riso, mentre la seconda legata ad ingredienti della terra: cereali, legumi, verdure, come la popolarissima pasta e fagioli.

A causa delle rielaborazioni avvenute durante i secoli, e della contaminazione con la cultura culinaria più nobile, la cucina napoletana possiede ora una gamma vastissima di pietanze, tra le quali spesso anche quelle preparate con gli ingredienti più semplici risultano estremamente raffinate.

Nonostante le contaminazioni avvenute durante i secoli, compreso quello appena trascorso, la cucina napoletana conserva tutt'oggi un repertorio di piatti, ingredienti e preparazioni che ne caratterizzano una identità culturale inconfondibile.

Periodo greco

La citta' di Napoli (Nea-polis) venne fondata dai Greci nel VI sec. a.C.  

Fu un insediamento molto importante per i traffici marittimi della Magna Grecia.

Da subito si venne a differenziare la cucina basandosi sui prodotti del territorio: in quella "di mare" lungo la costa e quella "di terra" appunto nell'entroterra.

A Napoli, per gli scambi mercantili, confluiscono entrambe dando vita ad una antesignana  "cucina mediterranea".

Essa è basata su: olio e olive, latte e formaggio di capra, uva e vino rosso(denso e molto alcolico veniva diluito con acqua e addolcito con miele), pesce, selvaggina e agnello arrostiti, focacce di grano e orzo.

Erano particolarmente apprezzati i sapori piccanti e l'agrodolce.

Di origine greca sono gli "Struffoli" e il vino "Greco di Tufo".

 

Periodo romano

Nel 327 a.C. Napoli venne conquistata dai Romani che imposero i loro usi e costumi.

Dalla semplicità alimentare per cui era apprezzata la puls (una polenta di farro) accompagnata da semplice companatico si passò al periodo imperiale in cui l’alimentazione era sfoggio di ricchezza e benessere.

La ricercatezza e l’opulenza  delle vivande indicava lo status sociale di chi imbandiva le mense.

La Campania divenne “Felix”, bellissime ville romane vennero costruite nei luoghi più belli della costa e delle isole dove i patrizi trascorrevano il tempo in “otium” e in vari piaceri non ultimo quello della tavola.

 I romani portarono la suddivisione dei pasti in “jentaculum” (prima colazione), “prandium” (pranzo) e cena (cena).

La prima colazione, spesso saltata, era costituita da pane, miele, formaggio, uova, latte o vino.

Il pranzo era consumato fuori casa (come oggi facciamo noi con il cibo da strada o nei fast food) nelle “tabernae” ed era costituito da verdure, carne o pesce freddi.

 La cena era il pasto principale (anche qui come oggi) e, almeno nelle case patrizie, si suddivideva in: gustatio (antipasto) ,primae mensae (portate principali di carne, pesce, verdure) ,secondae mensae (dessert costituito da dolci, frutta secca e fresca). Il tutto annaffiato da abbondante vino miscelato ad acqua e miele. Antichi sapori di questo periodo sono rimasti la “colatura di alici di Cetara” discendente del “garum” e il “Falerno del Massico” vino che si ispira al “Falernum” ed al “Massicum”.

 

Periodo bizantino

Napoli divenne bizantina a partire dal 534 e per i successivi sei secoli.

La Cucina bizantina era caratterizzata dalla fusione della gastronomia greca con quella romana.

I cuochi sperimentarono nuove combinazioni di cibo creando due diversi stili, quello orientale  consistente nella cucina bizantina integrata da prodotti commerciali, ed uno stile più magro basato sulle tradizioni locali.

La dieta base consisteva in pane, verdura, legumi e cereali.

 Nell’alimentazione bizantina al grano seguivano i legumi: lenticchie, ceci, piselli e soprattutto fave.

Una buona varietà di verdure integrava la dieta: i Bizantini piantavano olive, cavolo, cipolla, carota, aglio, zucca, lattuga e porri.

La frutta cotta con miele e spezie faceva da contorno ai piatti di carne, e molto apprezzata era anche la frutta secca, che entrava in molti dolci: noci, mandorle, datteri, castagne e pistacchi.(Si pensi nella cucina napoletana all’abbinamento uva passa e pinoli o ai roccocò a base di mandorle, miele e pisto (cannella, chiodi di garofano, noce moscata).

Latte e latticini erano assai apprezzati, di pecora, mucca e capra Si mangiava carne bovina in misura minore, e quasi per niente quella di cavallo.
Gli animali più grandi costituivano un cibo più raro e costoso. I maiali venivano macellati all’inizio dell’inverno per rifornire le famiglie di salsicce, carne salata e lardo per tutto l’anno. Solo i più facoltosi potevano permettersi la carne di agnello.

Consumatissimo era il pesce (molluschi e crostacei compresi), fresco o in salamoia.

Il sale, sia come condimento sia per la conservazione dei cibi, era d’uso comune.

 

Il Medioevo

Tre sono i testi che hanno influenzato la cucina napoletana in questo periodo:

 

- Il Regimen sanitastis salernitanum” 1050

E’ un trattato della Scuola Medica Salernitana sorta nell’XI sec. in cui si danno indicazioni su norme igieniche, uso del cibo e delle erbe e le loro indicazioni terapeutiche, tra queste si consigliava di usare il riso come medicamento per i disturbi gastro-intestinali. Forse è per questo motivo che ancora oggi il riso è scarsamente apprezzato dai napoletani.

 

- L’ “Anonimo meridionale” 1238

E’ composto da due diversi ricettari ed è noto con questo nome per gli evidenti meridionalismi, in particolare napoletani, della lingua usata. Il primo libro contiene 164 ricette mentre il secondo 65.

 

- Il “Liber de coquina” 1300

E’ il primo vero e proprio libro di cucina napoletana, scritto da un cortigiano di Carlo II d’Angiò. Contiene ricette provenienti da diverse corti d’Europa ma soprattutto della cucina francese e napoletana. In particolare tratta della preparazione di verdure,pollame paste e pesce.

 

Il Cinquecento

Anche in questo periodo tre testi:

 

- 1524 Antonio Camuria “Apparecchi diversi da mangiare et rimedii”

E’ stato trovato nella Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli (Manoscritto XII.E.19).

Il manoscritto comprende 85 ricette. Non prevede titolo, ma sul dorso è scritto: Apparecchi diversi da mangiare et rimedii. l’autore è Antonio Camuria e il luogo in cui è stato scritto pare sia Nerulum.

Nerulum, secondo Michael Suthold, corrisponderebbe in effetti a Lagonegro (Lacus Neruli), nei pressi di Potenza, in Basilicata.

Avremmo quindi un manoscritto “napoletano”, il che è confermato dalla presenza di un vocabolario e di una costruzione di frasi proprie del dialetto della Basilicata.

Lagonegro era all’epoca nelle mani della famiglia napoletana Carafa.

Antonio Camuria è probabilmente al servizio della corte della famiglia dei Carafa, forse il responsabile delle cucine.

Camuria conosce le ricette di Robert de Nola o di Maestro Martino, sia direttamente, sia indirettamente, avendo letto Platine.

Si trovano infatti diverse ricette d’origine catalana (della corte di Napoli) : per far lo miraustro, per far la genestrata, per far una suppa ala Catelana, per far la polvere duc(h)a, per far la salsa de pago.

 

- 1588 marchese Giovan Battista del Tufo “Ritratto, o modello delle grandezze, delizie e meraviglie della nobilissima città di Napoli”

”Ritratto di Napoli”

E’ un componimento in versi diviso in sette "ragionamenti", corrispondenti ai "sette giorni della settimana", in cui l’autore si propone di illustrare le bellezze della sempre rimpianta città natale. Nel quinto "ragionamento" del Tufo espone il quadro colorato delle varie usanze connesse con le feste religiose di larga risonanza popolare con particolare riguardo alle tradizioni alimentari, ai modi della partecipazione delle masse, alle consuetudini cerimoniali.

 

- Fine XV sec. Anonimo “Cuoco napoletano”

Manoscritto della Pierpont Morgan Library di New York (Manoscritto Bühler 19) scritto alla fine del XV secolo, verosimilmente da un cuoco napoletano.

Testo pubblicato nel 2000 da Terence Scully : The napolitan recipe collection, Cuoco Napoletano, The University of Michigan Press.  “Cuoco Napoletano” comprende 219 ricette.

 

 

Il Seicento

Due testi caratterizzano il periodo:

 

- 1634 Giovanni Battista Crisci “Lucerna de corteggiani ove in dialogo si tratta diffusamente delle corti, così de venti quattro offici nobili, come de la varietà de cibi per tutto l’anno, e ciascuna domenica e attri banchetti”

Giovanni Battista Crisci è il massimo cuoco della Napoli di quel tempo.

Nel libro del Crisci troviamo i primi abbinamenti tra pasta e pesce, ma non si tratta di maccheroni sciolti e frutti di mare bensì di “maccheroni in cassa e pesci”.

 A differenza degli altri testi di gastronomia del tempo “La Lucerna” non contiene ricette, cioé istruzioni su come preparare le pietanze, ma più di 400 menu, ognuno dei quali comprende dai 18 ai 200 piatti differenti.

 

- 1692 Antonio Latini “Lo scalco alla moderna”

Vi sono contenute istruzioni sull’organizzazione della cucina, sulla preparazione dei banchetti, e su come imbandire le tavole e realizzare i trionfi; ricette di arrosti, bolliti, stufati, fritti, brodi, minestre, pasticci, pizze, salse, aceti profumati, conserve; nozioni di dietetica, e ulteriori ricette di piatti di magro, di sciroppi e sorbetti; catalogo dei prodotti gastronomici d’eccellenza e dei migliori vini del Regno di Napoli.

Il Latini ci dà le prime nozioni di quella che diventerà, nel giro di due secoli, la vera cucina napoletana. Troviamo in questo libro la ricetta della «salsa di pomodoro alla spagnuola», con cipolla, timo, «peparolo», sale, olio e aceto. E’ la prima ricetta pubblicata di una preparazione a base di pomodoro.

Latini è pioniere anche nell’impiego di un altro ortaggio giunto dal Nuovo Mondo, il peperone, che utilizza per insaporire alcune salse.

Nel secondo volume del suo trattato, riservato interamente alle «vivande di magro», Antonio Latini sembra precorrere una tendenza che emergerà solo nella seconda metà del Settecento, e cioè la sostituzione delle spezie orientali con i profumi dell’orto. Insegna infatti come «cucinare e condire vivande senza spezierie», impiegando al loro posto prezzemolo, timo serpillo e altre erbe odorose.

Alla cucina partenopea e al ruolo essenziale che vi giocano le paste e i molluschi rimandano i capitoletti sui «diversi maccaroni, lasagne e gnocchetti» e sui frutti di mare.

Alla più schietta tradizione napoletana si collegano anche le pagine sui sorbetti, a cominciare dal sorbetto di limone.

 

Il Settecento

- 1773 Vincenzo Corrado “Il Cuoco galante, opera meccanica dell'oritano Vincenzo Corrado: di varie capricciose vivande nel fine de' loro istessi trattati accresciuta”

Gastronomo, filosofo e letterato, Vincenzo Corrado è il primo a valorizzare la cucina regionale e quella mediterranea introducendo alcuni elementi tipici partenopei.

 E’ inoltre il precursore della cucina vegetariana con il “Vitto Pittagorico”

Non oppose pregiudiziali al lessico gastronomico francese a quei tempi dominante, ma nel complesso si mantenne fedele alla pratica tradizionale della cucina italiana, e in particolare napoletana, rivelando lo sforzo di voler integrare le cucine forestiere a quella locale, servendosi di una scrittura semplice, concisa ed esauriente.

La materia del manuale è riportata in capitoli di una certa ampiezza, ciascuno dedicato ad un argomento (minestre, carni domestiche e selvatiche, pesci, uova, latticini, verdure, crostate, dolci, sapori, conserve) a sua volta suddiviso in brevi paragrafi nei quali si prescrivono i modi di cucinare le vivande. “Il cuoco galante” ebbe larga fortuna come testimoniano le numerose edizioni e ristampe giunte fino alla metà dell’ottocento. Di Vincenzo Corrado sono anche da ricordare altri libri come: “Del Cibo Pitagorico” e “Il Credenziere di buon gusto”, quest’ultimo pubblicato nel 1778 a Napoli e più volte ristampato con l’ampliamento di due “trattati storici” sulla cioccolata e il caffè (edizione 1820).

 

L’Ottocento

- 1837 Ippolito Cavalcanti duca di Buonvicino “Cucina teorico-pratica”

Pubblicato per la prima volta a Napoli nel 1837 alla quale aggiunge, nella seconda edizione del 1839, l'appendice “Cusina casarinola co la lengua napoletana”, presenta numerose ricette dell'epoca, provenienti dalle diverse classi sociali.

E’ un compendio di cucina tradizionale napoletana, alcune delle ricette sono di ispirazione francese, in quanto la cucina d'Oltralpe era all'epoca molto presente sulle mense dell'aristocrazia o dell'alta borghesia, l'appendice ci riporta invece alla cucina casereccia in uso all'epoca presso il popolo. Vi si trova, ad esempio, la prima descrizione di una pasta(vermicelli) condita con il pomodoro. O altre in uso ancora oggi nella cucina partenopea: Parmigiana di Melanzane, Panzerotto o Pizza Fritta, Vermicelli con le Vongole, Baccalà Fritto, Pasta e Fagioli, Pasta e Piselli, Minestra Maritata ecc.

 

Il Novecento

Due testi da cui trarre spunti:

- 1965 Jeanne Carola Francesconi “La cucina napoletana” Napoli,Grimaldi&C., 1965

- 1988 marchese Franco Santasilia di Torpino “La Cucina Aristocratica Napoletana” Napoli, Ed Civita, 1988

 

I giorni nostri

Due esempi per tutti:

 - 2005 Luciano Pignataro “La cucina napoletana di mare” New Compton Editori

 - 2010 Antonio Tubelli “La cucina napoletana” Ed. L’ancora del mediterraneo

  

 

 

 

Nessun commento:

Posta un commento