La cucina napoletana
ha antichissime radici storiche che risalgono al periodo greco-romano
e si è arricchita nei secoli con l'influsso delle differenti culture che si
sono susseguite durante le varie dominazioni della città e del territorio
circostante. Importantissimo è stato l'apporto della fantasia e creatività dei
napoletani nella varietà di piatti e ricette oggi presenti nella cultura
culinaria partenopea.
In quanto capitale del regno,
la cucina di Napoli
ha acquisito anche gran parte delle tradizioni
culinarie dell'intera Campania, raggiungendo un giusto equilibrio tra piatti di
terra (pasta,
verdure,
latticini)
e piatti di mare (pesce,
crostacei,
molluschi).
A seguito delle varie dominazioni, principalmente quella
francese e quella spagnola, si è delineata la separazione tra una cucina
aristocratica ed una popolare.
La prima, caratterizzata da piatti elaborati e di
ispirazione internazionale, sostanziosi e preparati con ingredienti ricchi,
come i timballi
o il sartù di riso, mentre la seconda legata ad
ingredienti della terra: cereali, legumi, verdure, come la popolarissima pasta e
fagioli.
A causa delle rielaborazioni avvenute durante i secoli, e della
contaminazione con la cultura culinaria più nobile, la cucina napoletana
possiede ora una gamma vastissima di pietanze, tra le quali spesso anche quelle
preparate con gli ingredienti più semplici risultano estremamente raffinate.
Nonostante le contaminazioni avvenute durante i secoli,
compreso quello appena
trascorso, la cucina napoletana conserva tutt'oggi un repertorio di
piatti, ingredienti e preparazioni che ne caratterizzano una identità culturale
inconfondibile.
Periodo greco
La citta' di Napoli (Nea-polis) venne fondata dai Greci
nel VI sec. a.C.
Fu un insediamento molto importante per i traffici
marittimi della Magna Grecia.
Da subito si venne a differenziare la cucina basandosi
sui prodotti del territorio: in quella "di mare" lungo la costa e quella
"di terra" appunto nell'entroterra.
A Napoli, per gli scambi mercantili, confluiscono
entrambe dando vita ad una antesignana "cucina mediterranea".
Essa è basata su: olio e olive, latte
e formaggio di capra, uva e vino rosso(denso e molto alcolico veniva
diluito con acqua e addolcito con miele), pesce, selvaggina e agnello
arrostiti, focacce di grano e orzo.
Erano particolarmente apprezzati i sapori piccanti e
l'agrodolce.
Di origine greca sono gli "Struffoli" e il vino
"Greco di Tufo".
Periodo romano
Nel 327 a.C. Napoli venne conquistata dai Romani che
imposero i loro usi e costumi.
Dalla semplicità alimentare per cui era apprezzata la
puls (una polenta di farro) accompagnata da semplice companatico si passò al
periodo imperiale in cui l’alimentazione era sfoggio di ricchezza e benessere.
La ricercatezza e l’opulenza delle vivande indicava
lo status sociale di chi imbandiva le mense.
La Campania divenne “Felix”, bellissime ville romane
vennero costruite nei luoghi più belli della costa e delle isole dove i patrizi
trascorrevano il tempo in “otium” e in vari piaceri non ultimo quello della
tavola.
I romani portarono
la suddivisione dei pasti in “jentaculum” (prima colazione), “prandium”
(pranzo) e cena (cena).
La prima colazione, spesso saltata, era costituita da
pane, miele, formaggio, uova, latte o vino.
Il pranzo era consumato fuori casa (come oggi facciamo
noi con il cibo da strada o nei fast food) nelle “tabernae” ed era costituito
da verdure, carne o pesce freddi.
La cena era il
pasto principale (anche qui come oggi) e, almeno nelle case patrizie, si
suddivideva in: gustatio (antipasto) ,primae mensae (portate principali di
carne, pesce, verdure) ,secondae mensae (dessert costituito da dolci, frutta
secca e fresca). Il tutto annaffiato da abbondante vino miscelato ad acqua e
miele. Antichi sapori di questo periodo sono rimasti la “colatura di alici di
Cetara” discendente del “garum” e il “Falerno del Massico” vino che si ispira al
“Falernum” ed al “Massicum”.
Periodo bizantino
Napoli divenne bizantina a partire dal 534 e per i
successivi sei secoli.
La Cucina bizantina era caratterizzata dalla fusione
della gastronomia greca con quella romana.
I cuochi sperimentarono nuove combinazioni di cibo
creando due diversi stili, quello orientale consistente nella cucina
bizantina integrata da prodotti commerciali, ed uno stile più magro basato
sulle tradizioni locali.
La dieta base consisteva in pane, verdura, legumi e
cereali.
Nell’alimentazione
bizantina al grano seguivano i legumi: lenticchie, ceci, piselli e soprattutto
fave.
Una buona varietà di verdure integrava la dieta: i
Bizantini piantavano olive, cavolo, cipolla, carota, aglio, zucca, lattuga e
porri.
La frutta cotta con miele e spezie faceva da contorno ai
piatti di carne, e molto apprezzata era anche la frutta secca, che entrava in
molti dolci: noci, mandorle, datteri, castagne e pistacchi.(Si pensi nella
cucina napoletana all’abbinamento uva passa e pinoli o ai roccocò a base di
mandorle, miele e pisto (cannella, chiodi di garofano, noce moscata).
Latte e latticini erano assai apprezzati, di pecora,
mucca e capra Si mangiava carne bovina in misura minore, e quasi per niente
quella di cavallo.
Gli animali più grandi costituivano un cibo più raro e costoso. I maiali venivano macellati all’inizio dell’inverno per rifornire le famiglie di salsicce, carne salata e lardo per tutto l’anno. Solo i più facoltosi potevano permettersi la carne di agnello.
Gli animali più grandi costituivano un cibo più raro e costoso. I maiali venivano macellati all’inizio dell’inverno per rifornire le famiglie di salsicce, carne salata e lardo per tutto l’anno. Solo i più facoltosi potevano permettersi la carne di agnello.
Consumatissimo era il pesce (molluschi e crostacei
compresi), fresco o in salamoia.
Il sale, sia come condimento sia per la conservazione dei
cibi, era d’uso comune.
Il Medioevo
Tre sono i testi che hanno influenzato la cucina napoletana in questo
periodo:
- Il “Regimen sanitastis
salernitanum” 1050
E’ un trattato della Scuola Medica Salernitana sorta nell’XI sec. in cui si
danno indicazioni su norme igieniche, uso del cibo e delle erbe e le loro
indicazioni terapeutiche, tra queste si consigliava di usare il riso come
medicamento per i disturbi gastro-intestinali. Forse è per questo motivo che
ancora oggi il riso è scarsamente apprezzato dai napoletani.
- L’ “Anonimo meridionale” 1238
E’ composto da due diversi ricettari ed è noto con questo nome per gli
evidenti meridionalismi, in particolare napoletani, della lingua usata. Il
primo libro contiene 164 ricette mentre il secondo 65.
- Il “Liber de coquina” 1300
E’ il primo vero e proprio libro di cucina napoletana, scritto da un cortigiano
di Carlo II d’Angiò. Contiene ricette provenienti da diverse corti d’Europa ma
soprattutto della cucina francese e napoletana. In particolare tratta della
preparazione di verdure,pollame paste e pesce.
Il Cinquecento
Anche in questo periodo tre testi:
- 1524 Antonio
Camuria “Apparecchi diversi da mangiare et rimedii”
E’ stato trovato nella Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli
(Manoscritto XII.E.19).
Il manoscritto comprende 85 ricette. Non prevede titolo, ma sul dorso è
scritto: Apparecchi diversi da
mangiare et rimedii. l’autore è Antonio Camuria e il luogo in cui è stato
scritto pare sia Nerulum.
Nerulum, secondo Michael Suthold, corrisponderebbe in effetti a Lagonegro
(Lacus Neruli), nei pressi di Potenza, in Basilicata.
Avremmo quindi un manoscritto “napoletano”, il che è confermato dalla
presenza di un vocabolario e di una costruzione di frasi proprie del dialetto
della Basilicata.
Lagonegro era all’epoca nelle mani della famiglia napoletana Carafa.
Antonio Camuria è probabilmente al servizio della corte della famiglia dei
Carafa, forse il responsabile delle cucine.
Camuria conosce le ricette di Robert de Nola o di Maestro Martino, sia
direttamente, sia indirettamente, avendo letto Platine.
Si trovano infatti diverse ricette d’origine catalana (della corte di
Napoli) : per far lo miraustro,
per far la genestrata, per far una suppa ala Catelana, per far la polvere
duc(h)a, per far la salsa de pago.
- 1588 marchese
Giovan Battista del Tufo “Ritratto, o modello delle grandezze, delizie e
meraviglie della nobilissima città di Napoli”
”Ritratto di Napoli”
E’ un componimento in versi diviso in sette "ragionamenti",
corrispondenti ai "sette giorni della settimana", in cui l’autore si
propone di illustrare le bellezze della sempre rimpianta città natale. Nel
quinto "ragionamento" del Tufo espone il quadro colorato delle varie
usanze connesse con le feste religiose di larga risonanza popolare con
particolare riguardo alle tradizioni alimentari, ai modi della partecipazione
delle masse, alle consuetudini cerimoniali.
- Fine XV sec.
Anonimo “Cuoco napoletano”
Manoscritto della Pierpont Morgan Library di New York (Manoscritto Bühler
19) scritto alla fine del XV secolo, verosimilmente da un cuoco napoletano.
Testo pubblicato nel 2000 da Terence Scully : The napolitan recipe
collection, Cuoco Napoletano, The University of Michigan Press. “Cuoco Napoletano” comprende 219 ricette.
Il Seicento
Due testi caratterizzano il periodo:
- 1634 Giovanni
Battista Crisci “Lucerna de corteggiani ove in dialogo si tratta
diffusamente delle corti, così de venti quattro offici nobili, come de la
varietà de cibi per tutto l’anno, e ciascuna domenica e attri banchetti”
Giovanni Battista Crisci è il massimo cuoco della Napoli di quel tempo.
Nel libro del Crisci troviamo i primi abbinamenti tra pasta e pesce, ma non
si tratta di maccheroni sciolti e frutti di mare bensì di “maccheroni in cassa
e pesci”.
A differenza degli altri testi di
gastronomia del tempo “La Lucerna” non contiene ricette, cioé istruzioni su come
preparare le pietanze, ma più di 400 menu, ognuno dei quali comprende dai 18 ai
200 piatti differenti.
- 1692 Antonio
Latini “Lo scalco alla moderna”
Vi sono contenute istruzioni sull’organizzazione della cucina, sulla
preparazione dei banchetti, e su come imbandire le tavole e realizzare i
trionfi; ricette di arrosti, bolliti, stufati, fritti, brodi, minestre,
pasticci, pizze, salse, aceti profumati, conserve; nozioni di dietetica, e
ulteriori ricette di piatti di magro, di sciroppi e sorbetti; catalogo dei
prodotti gastronomici d’eccellenza e dei migliori vini del Regno di Napoli.
Il Latini ci dà le prime nozioni di quella che diventerà, nel giro di due
secoli, la vera cucina napoletana. Troviamo in questo libro la ricetta della
«salsa di pomodoro alla spagnuola», con cipolla, timo, «peparolo», sale, olio e
aceto. E’ la prima ricetta pubblicata di una preparazione a base di pomodoro.
Latini è pioniere anche nell’impiego di un altro ortaggio giunto dal Nuovo
Mondo, il peperone, che utilizza per insaporire alcune salse.
Nel secondo volume del suo trattato, riservato interamente alle «vivande di
magro», Antonio Latini sembra precorrere una tendenza che emergerà solo nella
seconda metà del Settecento, e cioè la sostituzione delle spezie orientali con
i profumi dell’orto. Insegna infatti come «cucinare e condire vivande senza
spezierie», impiegando al loro posto prezzemolo, timo serpillo e altre erbe
odorose.
Alla cucina partenopea e al ruolo essenziale che vi giocano le paste e i
molluschi rimandano i capitoletti sui «diversi maccaroni, lasagne e gnocchetti»
e sui frutti di mare.
Alla più schietta tradizione napoletana si collegano anche le pagine sui
sorbetti, a cominciare dal sorbetto di limone.
Il Settecento
- 1773
Vincenzo Corrado “Il Cuoco galante, opera meccanica dell'oritano Vincenzo
Corrado: di varie capricciose vivande nel fine de' loro istessi trattati
accresciuta”
Gastronomo,
filosofo e letterato, Vincenzo Corrado è il primo a valorizzare la cucina
regionale e quella mediterranea introducendo alcuni elementi tipici partenopei.
E’ inoltre il precursore della cucina
vegetariana con il “Vitto Pittagorico”
Non oppose
pregiudiziali al lessico gastronomico francese a quei tempi dominante, ma nel
complesso si mantenne fedele alla pratica tradizionale della cucina italiana, e
in particolare napoletana, rivelando lo sforzo di voler integrare le cucine
forestiere a quella locale, servendosi di una scrittura semplice, concisa ed
esauriente.
La materia del
manuale è riportata in capitoli di una certa ampiezza, ciascuno dedicato ad un
argomento (minestre, carni domestiche e selvatiche, pesci, uova, latticini,
verdure, crostate, dolci, sapori, conserve) a sua volta suddiviso in brevi
paragrafi nei quali si prescrivono i modi di cucinare le vivande. “Il cuoco
galante” ebbe larga fortuna come testimoniano le numerose edizioni e ristampe
giunte fino alla metà dell’ottocento. Di Vincenzo Corrado sono anche da
ricordare altri libri come: “Del Cibo Pitagorico” e “Il Credenziere di buon
gusto”, quest’ultimo pubblicato nel 1778 a Napoli e più volte ristampato con
l’ampliamento di due “trattati storici” sulla cioccolata e il caffè (edizione
1820).
L’Ottocento
- 1837 Ippolito Cavalcanti duca di Buonvicino “Cucina teorico-pratica”
Pubblicato per la prima volta a Napoli nel 1837 alla
quale aggiunge, nella seconda edizione del 1839, l'appendice “Cusina casarinola
co la lengua napoletana”, presenta numerose ricette dell'epoca, provenienti
dalle diverse classi sociali.
E’ un compendio di cucina tradizionale napoletana, alcune delle ricette
sono di ispirazione francese, in quanto la cucina d'Oltralpe era all'epoca
molto presente sulle mense dell'aristocrazia o dell'alta borghesia, l'appendice
ci riporta invece alla cucina casereccia in uso all'epoca presso il popolo. Vi
si trova, ad esempio, la prima descrizione di una pasta(vermicelli) condita con
il pomodoro. O altre in uso ancora oggi nella cucina partenopea: Parmigiana di
Melanzane, Panzerotto o Pizza Fritta, Vermicelli con le Vongole, Baccalà
Fritto, Pasta e Fagioli, Pasta e Piselli, Minestra Maritata ecc.
Il Novecento
Due testi da cui trarre spunti:
- 1965 Jeanne
Carola Francesconi “La cucina napoletana” Napoli,Grimaldi&C., 1965
- 1988 marchese
Franco Santasilia di Torpino “La Cucina Aristocratica Napoletana”
Napoli, Ed Civita, 1988
I giorni nostri
Due esempi per
tutti:
- 2005 Luciano
Pignataro “La cucina napoletana di mare” New Compton Editori
- 2010
Antonio Tubelli “La cucina napoletana” Ed. L’ancora del mediterraneo
Nessun commento:
Posta un commento