lunedì 23 febbraio 2015

Il Monzù


Il Monzù

Il Monzù, parola napoletana dal francese "Monsieur" (Signore) era un appellativo dato anticamente ai cuochi professionisti (a Palermo ed in Sicilia, erano invece detti Monsù).

La cucina rappresentata da questi professionisti era il punto di unione tra la cucina francese e quella napoletana. Secondo J.C. Francesconi, autrice di un ponderoso volume sulla cucina napoletana, tra essi si distinsero particolarmente, per la loro bravura, Abruzzesi e Siciliani.

Chiamati talvolta con il nome di battesimo ed il cognome della famiglia presso cui prestavano servizio, altre volte con nomignoli suggestivi.

Alcuni di loro raggiunsero grande fama fino ad essere trattati alla stregua di artisti ed i nomi di alcuni di loro sono giunti fino a noi:

Giuseppe Lazzaro detto Monzù Peppino,

Nicola ‘e Tricase,

Francesco è Pavuncelli,

Totonno ‘e Targiani,

Cunfettiello ‘e Barracco,

Terramoto ‘e Gerace,

Monzù Attolini detto Vincenzo ‘e Cumpagna,

Aquilino Beneduce detto Monzù ‘e Pignatelli,

Raffaele, Rafele, dei Serra di Cassano,

Monzù Gerardo Modugno.

Per estensione, si chiama ancora oggi ‘cucina dei Monsù’ la raffinatissima cucina della tradizione aristocratica napoletana e siciliana, che si va purtroppo perdendo, e nella quale è presente l’essenza dell'eccellenza e della qualità della cucina dei monsù: una "fusion", come si direbbe oggi, in cui i piatti della tradizione francese si trasformarono in piatti "alla napoletana”, in cui pietanze semplici e popolari si sono mutate in simboli della cultura e della storia partenopea.

Il ragù, la genovese, il sartù di riso, il gattò di patate, i crocché, il babà, sono diventati patrimonio culturale della cucina tipica napoletana, nella quale si respira il vissuto dei nostri bisnonni, dei nostri nonni, dei nostri genitori e si costruisce quel sentimento di gioia di vivere che caratterizza ancora oggi l’anima del popolo napoletano.

A loro è dedicata una filastrocca napoletana:

 

“Munzù, munzù, munzù,

è gghjuta 'a zoccola 'int'a 'o rraù.

'A signora nun 'o vo' cchiù,

magnatillo tutto tu.”

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